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«Scuola e lavoro. È inutile copiare il modello tedesco se non sconfiggiamo lo statalismo»

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«Scuola e lavoro: l’Italia è più vicina al modello tedesco». «Più esperienze in azienda per gli studenti». «Una scuola su due (il 43 per cento) pratica l’alternanza». Così la stampa italiana ha raccontato i dati sull’alternanza scuola-lavoro riferiti all’anno scolastico 2013-2014 e diffusi dal ministero dell’Istruzione in occasione di Job&Orienta, il più grande salone nazionale sull’orientamento che si è tenuto dal 20 al 22 novembre a Veronafiere.
Le cose stanno proprio così? Lo abbiamo chiesto a Claudio Gentili, coordinatore del comitato scientifico di Job&Orienta e direttore Education per Confindustria: «Sono dati che indubbiamente cominciano ad essere significativi – dichiara a tempi.it – ma la realtà è che siamo ancora molto distanti dal modello duale tedesco della formazione professionale in azienda. Infatti, 220 mila studenti che praticano l’alternanza sono il 10 per cento del totale, gli istituti coinvolti sono 2.361 ma soprattutto le aziende che ospitano esperienze di questo tipo sono circa 55 mila, cioè l’1 per cento del totale». Troppo poche.

scuola-lavoro-alternanza-job&orienta1LUSSO PER POCHI. «Oltretutto», prosegue Gentili, «bisogna capire di che tipo di alternanza si tratta. In Italia è un’alternanza debole perché in media non si superano le 70/80 ore al massimo l’anno su un totale di oltre 1000 ore di insegnamento frontale. In Germania, invece, l’apprendimento in azienda rappresenta la metà del normale monte ore scolastico». Ciò significa che sono solo una «minoranza» gli studenti italiani che praticano l’alternanza e il più delle volte «sono soltanto stage». Mentre gli studenti degli istituti professionali tedeschi possono fare affidamento sull’apprendistato, che è «come in tutto il Nord Europa un segmento importante del processo educativo», già a partire dalle medie. Mentre in Italia l’apprendistato è «un semplice contratto di lavoro».

IMITARE NON SERVE. Paragonare Italia e Germania è anche inutile: «Non abbiamo bisogno del modello tedesco – continua Gentili – anche perché il modello ce l’avevamo già in casa, prima di gettarlo alle ortiche con la riforma scolastica del 1968». Una volta “imparare lavorando” o “studiare in azienda” era la normale prassi degli studenti degli istituti tecnici e professionali, quando le ore di laboratorio settimanali erano ancora 22. Oggi, invece, «per un malinteso bisogno di cultura generale, le esperienze di formazione in alternanza tra studio e lavoro sono state ridotte all’osso». Ecco perché invece che imitare modelli stranieri sarebbe meglio «combattere tre nemici di carattere culturale che impediscono il radicarsi dell’alternanza».

scuola-lavoro-alternanza-job&orientaTRE NEMICI. Quali? «Innanzitutto, lo statalismo, perché l’alternanza fiorisce laddove vigono la vera autonomia scolastica e la sussidiarietà; secondo, l’idealismo che ha invaso la scuola italiana espellendo il lavoro dal processo formativo; terzo e ultimo, la scarsa considerazione del valore che ha in sé il fare impresa, che è sinonimo di bene comune, posti di lavoro e successo. Sono questi i fattori culturali che frenano, ancor prima di quelli legislativi, il diffondersi dell’alternanza tra scuola e lavoro in Italia».
Una menzione a parte merita l’aspetto legato alla tassazione: «In Germania grazie alla riforme fatte da Schroeder, un’azienda che non ospita studenti in alternanza paga più tasse delle altre. Ed è giusto così, perché chi sceglie di formare uno studente, insegnandogli un mestiere, sceglie di spostare un dipendente dalla produzione alla formazione e questo è un costo per il datore, anche se è un investimento per il futuro».

QUALCOSA SI MUOVE. Per fortuna anche in Italia non mancano singoli presidi e imprenditori che scelgono l’alternanza per gli studenti. «Sono esperienze meravigliose di gente che prova a scrivere dritto su righe storte». Come nel caso di Enel, Federmeccanica e Fondazione Badoni, che approfittando della sperimentazione voluta dal Miur potranno far trascorrere a molti studenti italiani il 35 per cento delle ore in azienda. «Sono piccoli passi avanti», conclude Gentili, «ma andrebbe fatto molto di più, soprattutto nell’ambito della manifattura, al quale non possiamo rinunciare. L’alternanza in questo Paese non può riguardare solo ristorazione e turismo».


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